Ogni volta che veniamo a conoscenza di un suicidio, veniamo presi da un senso di pena, senso di colpa, senso di smarrimento, e la domanda che ci poniamo è:”Perchè quell’uomo ha voluto rinunciare alla vita, negandosi l’esistenza?”
Il suicidio è un problema serio e coinvolgente, e molti studiosi di varie discipline, psicologi, psichiatri, medici, sociologi, hanno cercato di studiare questo fenomeno, collegato alla depressione, attraverso descrizioni, statistiche cercando una risposta, sapendo che è nell’uomo la vera risposta per cui la vita vale la pena di essere vissuta, per motivi istintuali, biologici, spirituali.
Si possono considerare 4 tesi principali, ovvero quella psichiatrica, psicologica, psicodinamica e sociologica.
Tesi psichiatrica: che ritiene come il suicidio sia sempre effetto e conseguenza di uno stato mentale alterato.
Tesi psicologica: secondo cui, in particolare secondo Deshaies, il suicidio risolve il conflitto occasionale e soprattutto apporta una soluzione alla vita individuale stessa.
Tesi psicodinamica: secondo questa tesi psicoanalitica, il suicidio sarebbe un omicidio mancato, in quanto l’Io oppresso, rivolge verso di sè l’aggressività, inconsciamente rivolta verso il mondo.
Tesi sociologica: secondo questa ultima tesi, appunto che ha un approccio sociologico, attribuisce al suicidio, semplicemente una causa di tipo situazionale, che può essere ambientale, economico o culturale.
Certamente queste definizioni sono molto riduttive, non vanno a dare una risposta soddisfacente al problema del suicidio. Sono definizioni molto riduttive che vanno ad escludere dal concetto di suicidio tutti i tentativi di autolesionismo, o di suicidio patologico, come ad esempio, quello degli schizofrenici e degli psicotici depressi. Esclude anche i suicidi etici, che in netta diminuzione nel mondo occidentale, sono ancora frequenti in altre civiltà; il suicidio per esempio del comandante che rimane sulla propria nave e sceglie di morire mentre questa si inabissa dopo aver impattato contro un iceberg per esempio ( nel caso celeberrimo del Titanic), in cui il capitano si suicida per una causa etica, legata al suo lavoro, ma è sempre un suicidio. Altri esempi di suicidi mascherati sono quelli di prigionieri politici che pur di non cedere alle violenze del nemico decidono di farla finita. Oppure come negli ultimi attentati di Parigi, dove gli attentatori hanno preferito e scelto di morire sotto i colpi dei militari, piuttosto che finire in carcere, in nome del loro credo religioso.
Per tanti secoli la religione cristiana ha creato attorno al suicidio, le credenze, gli atteggiamenti, le risposte. Nulla poteva giustificarlo: disperazione, malattia, martirio in difesa della patria e della propria fede. Basti pensare che fino a trenta anni fa non venivano celebrati neanche i funerali del suicida.
Le statistiche parlano chiaro, cioè la maggior parte dei suicidi è dato dagli psicotici. Tra questi dobbiamo anche considerare il suicidio dei depressi. Le motivazione del suicidio degli psicotici, possono trovare una risposta nella prima fase della malattia, che è quella dello “smarrimento” in cui la persona si sente inglobata dalla realtà circostante, e l’angoscia da sopportare è molto forte. Molto più rari sono i suicidi dei nevrotici, degli isterici, degli ipocondriaci.
Molti tendono ad affermare che il suicidio ha sempre un margine di libertà, in realtà ciò vale dagli psicotici in poi, in quanto proprio in queste personalità la libertà è molto ridotta. Forse si potrebbe affermare che il margine più ampio di libertà lo possiamo riscontrare nei suicidi eroici, etici e sacrificali.
“Psichiatria” di Gian Carlo Reda ed. Utet
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